IL SALUTO

“Non bisogna dimenticare che il Karate inizia e finisce con il saluto”.

In questa -all’apparenza- semplice frase che costituisce il primo dei 20 princìpi fondamentali del Maestro G. Funakoshi, sta l’essenza del Karate-do. Più specificamente costituisce lo spirito della cultura orientale e in particolare di quella giapponese.

Il termine giapponese per indicare la parola saluto è “Rei” il cui ideogramma contiene il radicale che riporta al concetto di “divinità

Il Rei è un importante aspetto del modus vivendi orientale, è la norma più importante della vita sociale; può esser identificato con la ritualità ed in particolar modo con l’etichetta e la cortesia da cui deriva la parola reigi. Per estensione rei ha assunto il significato di ringraziamento, saluto e – nello specifico – inchino (in giapponese keirei).

Il Rei è un concetto fondamentale per tutte le arti marziali di origine giapponese in quanto espressione della cortesia, del rispetto e della sincerità. Il rituale del saluto è semplice nella sua forma esteriore, ma molto complesso nel suo aspetto interiore; è una presa di coscienza di se stessi, dei compagni, della palestra e dell’arte che si sta per praticare e non deve mai diventare un automatismo, un’abitudine o un obbligo imposto dal maestro. Il saluto non simboleggia una superficiale manifestazione di educazione, ma un lavoro completo sulla persona: la ricerca di una migliore adesione alla via (Dō). Il praticante, attraverso il saluto, si predispone correttamente all’allenamento, che richiede pazienza, umiltà e controllo dei propri sentimenti, e dunque un lavoro disciplinato, costante e diligente. Questo è lo spirito della via marziale: l’umiltà è un atteggiamento che bisogna assumere nella vita, la prima lotta che bisogna vincere è quella contro la propria presunzione.

Il termine Oss / Osu

Nel karate giapponese il saluto è spesso accompagnato dalla parola “osu” (pronunciata oss) Sul suo significato sono state fatte diverse ipotesi e due, fra le altre, meritano una particolare attenzione.  La prima vuole che il termine OSS derivi, quale contrazione, dall’espressione giapponese “OhayoGozaimasu” che corrisponde in qualche modo al nostro “Buongiorno”. La seconda ipotesi vede il significato di OSS, derivare, sempre come contrazione, dall’espressione “Oshi Shinobu” che risulta composto dagli stessi ideogrammi della parola OSS.
O SU Il primo ideogramma “O” ha il significato di spingere, sollevare, premere; il secondo (“SU”) quello di resistere, perseverare con risolutezza, soffrire in silenzio.
Anche in questo caso, analogamente al saluto, al di là del valore esteriore dato dal significato della parola, vi è un aspetto interiore denso di significato che rimanda al modo di intendere e percorrere il “Dō”.
Anche nelle circostanze, apparentemente più semplici, nelle quali è abitualmente impiegato, quali salutare il Maestro o gli altri praticanti, esprimere gratitudine, indicare di avere compreso un insegnamento, esprimere approvazione, vi è sempre un aspetto più profondo che vuole sottolineare il rispetto per l’arte marziale che si sta praticando, la voglia di superare se stessi, l’impegno morale a dare sempre il meglio di sé, fino ad impiegare il termine OSS, nel suo significato più intrinseco e vero, vale a dire in ogni pensiero, in ogni azione, nella vita di tutti i giorni.
(per approfondimenti su questo termine, Vi rimandiamo alla pagina parole-fraintese di questo sito

Come viene fatto

La complessità simbolica del saluto implica, in senso posturale, l’allineamento perfetto del ventre, del busto e della testa, centri, rispettivamente, della volontà, dell’emotività e dell’intelletto. La posizione del saluto è inizialmente verticale ed esprime la “via spirituale”; si inclina poi orizzontalmente, ad indicare la “via materiale”; tanto più è profondo l’inchino, tanto maggiore è il rispetto portato nei confronti di chi lo riceve. Dal punto di vista tecnico il saluto può essere collettivo o individuale, effettuato in piedi (ritsurei) o in ginocchio (zarei). Al momento di entrare nel  dojo bisogna salutare con un inchino discreto e sincero rivolto alla “sede superiore” (kamiza) e lo stesso inchino deve essere eseguito ogni volta che i praticanti si pongano di fronte o eseguano un esercizio di forma (kata).

Ritsurei – saluto in piedi

Il saluto in piedi deriva dal saluto consuetudinario giapponese e viene eseguito unendo prima i talloni (le punte dei piedi aperte a poco meno di 45°), mantenendo il busto e la nuca ben eretti e portando le mani con le dita tese e serrate lungo le cosce; questa posizione va mantenuta fino a che lo stato d’animo si sia fatto calmo e consapevole, quindi si piega poi in avanti il busto ed infine si torna in posizione eretta. Molti istruttori raccomandano di non piegarsi troppo in avanti, in maniera da non far vedere la nuca alle persone che si trovano davanti: questo perché, secondo l’etichetta giapponese, piegarsi fino a quel punto viene visto come un gesto di scusa e non di saluto.

Zarei – saluto in posizione inginocchiata

Quando sta per cominciare la lezione gli allievi si allineano per grado (il grado più alto all’estrema destra) lungo la “sede inferiore” del dōjō (shimoza) mentre il maestro è solito sedersi di fronte a loro nella “sede superiore” (kamiza). Dopo che il maestro si è seduto o dà il comando gli allievi, dal grado più alto al più basso, si siedono nella tradizionale posizione di seiza. Per mettersi correttamente in questa posizione bisogna prima piegare la gamba sinistra ruotando leggermente a destra col busto, quindi seguire con la gamba destra; gli alluci restano a contatto o si incrociano mentre i talloni, rivolti verso l’esterno, formano un incavo in cui ci si siede; la schiena è dritta e la testa eretta, le spalle sono rilassate e le mani sono appoggiate sulle cosce coi palmi in basso e le dita rivolte verso l’interno, le ginocchia sono aperte in modo naturale – generalmente distanziate da due pugni – e determinano la stabilità della postura. Il praticante deve tenere la colonna vertebrale diritta per potere respirare in modo corretto.

Dalla posizione di seiza è possibile la pratica della meditazione (mokuso), seguita nel più profondo silenzio per consentire il raggiungimento dell’armonia e della concentrazione; uno degli elementi essenziali di questa cerimonia si esprime nell’immobilità fisica e nel silenzio, che permettono di spogliarsi delle proprie preoccupazioni e di farsi ricettivi agli insegnamenti impartiti dal maestro. Sempre dalla posizione di seiza è quindi eseguibile l’inchino detto keirei. Si esegue appoggiando sul terreno di fronte a sé prima la mano sinistra e poi la destra con i palmi in basso e le dita serrate e rivolte leggermente verso l’interno, quindi si esegue un inchino in avanti senza sollevare i fianchi dall’incavo dei calcagni. Questa ritualità è il retaggio della casta dei samurai e, in caso di necessità, permetteva loro di sguainare agevolmente la spada anche da una posizione così svantaggiata; inoltre la «tradizione marziale narra che nessun guerriero degno di tal nome abbassava la testa al punto di perdere di vista le mani della persona che gli stava di fronte, esponendosi così ad un attacco improvviso ed imparabile» Alla fine di ogni inchino si torna in posizione di seiza riportando sulle cosce prima la mano destra e poi la sinistra; a conclusione dell’ultimo saluto – solitamente il reciproco – il maestro si alza ed all’ordine «kiritsu » è seguito dagli allievi. In alcune palestre si torna alla posizione eretta rapidamente, con intenzione ed energia, mentre in altre lo si fa seguendo all’inverso il rituale col quale ci si è seduti.

Il rei offre un’occasione di riflessione ad ogni praticante circa il comportamento da tenere verso gli uomini e verso la vita. Il saluto è l’essenza del rispetto ed il rispetto è l’anima dell’arte marziale: se andasse perso, lo sarebbe anche il valore dell’arte marziale.

Espressioni di saluto

Al momento del saluto gli ordini sono solitamente impartiti dall’allievo più anziano, posizionato capofila all’estrema destra degli altri allievi; tra questi vi sono delle espressioni verbali che precedono l’inchino vero e proprio e che possono variare a seconda delle circostanze:

  • «Shōmen ni rei», il saluto allo shōmen, ossia il lato anteriore della palestra; è un’ulteriore variante del precedente saluto e tra i tre è il saluto più diffuso.
  • «Sensei ni rei», il saluto al maestro (sensei).
  • «Senpai ni rei» il saluto all’allievo più anziano (senpai) che sostituisce il maestro quando quest’ultimo non è presente.
  • «Shihan ni rei» o «Hanshi ni rei», i saluti al maestro superiore, altamente onorato: shihan ed in particolare hanshi  son titoli speciali riservati a maestri di livello (dan) molto elevato ed esterno dalla gerarchia della scuola, che insegna nel dōjō solo in rare circostanze.
  • «Otagai ni rei», il saluto reciproco (otagai) che simboleggia l’unità ed esprime il rispetto che si deve agli altri.

 

 

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