ABBANDONARE LA PRATICA

 

Il Genitore:
Buon giorno Maestro come va mio figlio a Karate?
Il Maestro:
Bene si diverte! Ma vuole fare solo quello che vuole lui e non rispetta le regole del dojo.
Il Genitore:
Lo so lo riprenda: lo abbiamo iscritto a Karate, perché ha bisogno di disciplina anche a casa fa sempre cosi… e non accetta la sconfitta. Ma lei è un Maestro duro, lo sgridi pure gli farà bene.
Il Maestro:
Non si preoccupi, farò del mio meglio.

 

UN MESE DOPO
Il Genitore:
Maestro mio figlio non vuole più venire a Karate, fa capricci non so perché, dice che non gli piace più. Prima era tutto contento non capisco il perché …
Il Maestro:
Guardi sta iniziando a capire che non può fare sempre come vuole lui e che bisogna meritarsi il gioco alla fine e quindi per lui è una situazione sconveniente e nuova. Inoltre sta vedendo che non é sempre il più forte.
Il Genitore:
Non si preoccupi Maestro e solo questione di tempo.

Un MESE E MEZZO DOPO…
Il Genitore:
Maestro mi spiace mio figlio non vuole proprio più venire ora a Karate, fa calcio e gli piace tanto. Però gli avrebbe fatto bene un po’ di disciplina: ne ha bisogno.

A partire dall’età di 12 anni, Gigin Funakoshi studia il karate sotto la direzione del Maestro Asato. L’allenamento in quel periodo si svolgeva di notte, all’aperto, spesso in un giardino. Gigin Funakoshi scrive: “In quell’epoca mi sono allenato a un solo kata per molti mesi, e perfino per molti anni. Dovevo continuare, senza sapere per quanto tempo, fino a che il mio maestro dicesse “si”. E il maestro non diceva mai “si”. Per questo la durezza dell’allenamento è difficile da descrivere. Il Maestro Asato non mi toglieva mai gli occhi di dosso per tutto il tempo degli allenamenti nel suo giardino. Egli rimaneva nella veranda, seduto ben diritto sui talloni, senza cuscino. Era tuttavia già molto anziano. Quando terminavo un kata, mi diceva solo “bene”, “si”, o “ancora”, senza mai un complimento. Dovevo solo continuare a ripetere senza fine la stessa cosa, inzuppato di sudore. A fianco del maestro seduto era sempre appoggiata una lampada a petrolio il cui chiarore pareva affievolirsi, e talvolta mi accadeva di non percepirla più a causa della fatica. L’allenamento proseguiva fino all’alba”.

Queste storie sono state tratte liberamente dal web, ma rispecchiano, purtroppo, realtà odierne che succedono nei nostri dojo.
Volevo dedicare, il paragrafo sull’allenamento del maestro Funakoshi, a tutti quelli che abbandonano la pratica, “perché si annoiano”.

28 marzo 2018

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